Luglio 2025 potrebbe passare alla storia come il mese in cui l’Italia ha deciso, silenziosamente, di smettere di credere nella propria infrastruttura digitale. Il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID), pilastro dell’accesso ai servizi pubblici online, diventerà a pagamento per milioni di cittadini. Una decisione che, per quanto motivata da ritardi burocratici e difficoltà di bilancio, resta un errore strategico e culturale. Uno di quelli che si pagano cari, nel tempo.
Una storia di successo… dimenticata
SPID è nato nel 2016 con un obiettivo ambizioso: rendere semplice, sicuro e gratuito l’accesso ai servizi digitali della Pubblica Amministrazione. Ha funzionato. Oltre 39 milioni di italiani lo usano oggi per prenotare visite mediche, accedere al 730 precompilato, richiedere bonus, iscrivere i figli a scuola, firmare digitalmente contratti e documenti. Solo nel 2024, sono stati oltre 1,15 miliardi gli accessi effettuati tramite SPID.

Una rivoluzione silenziosa, che ha portato l’Italia a colmare in parte il divario digitale con il resto d’Europa. Un esempio di efficienza e inclusione, che ha permesso a milioni di persone – anche con scarse competenze digitali – di entrare nel mondo dei servizi online con un clic.
Ora il conto lo paga il cittadino
Eppure, ora si cambia registro. Dal 28 luglio 2025, InfoCert farà pagare 5,98 euro all’anno, mentre Aruba chiederà 4,90 euro + IVA dal secondo anno. Poste Italiane, che gestisce il 70% degli account SPID, resta (per ora) gratuita, ma per quanto ancora? I provider, abbandonati dallo Stato, non possono più reggere i costi. Hanno ragione: un servizio gratuito per l’utente va finanziato da qualcun altro, e se il governo latita, il mercato si adegua.
Ma è proprio questo il punto: SPID non è un prodotto commerciale. È un servizio pubblico digitale. E come tale, non può e non deve essere messo sul mercato. Chiedere ai cittadini di pagare per accedere ai servizi della PA è come mettere un tornello a pagamento all’ingresso del Comune. O far pagare l’aria condizionata per entrare in un ospedale. È una deriva pericolosa, che rischia di trasformare il diritto in privilegio.
Il problema è politico, non tecnologico
Il governo ha promesso 40 milioni di euro per sostenere SPID. Il decreto è arrivato, ma i fondi no. Mentre i provider aspettano, i cittadini pagano. L’AGID (Agenzia per l’Italia Digitale) minimizza, parla di “ritardi tecnici”. Ma qui non si tratta di cavilli burocratici. Si tratta di una visione miope della digitalizzazione, che taglia fondi oggi e prepara diseguaglianze domani.
Perché non tutti potranno o vorranno pagare. E così torneremo indietro. Ai tempi della fila allo sportello, dei documenti cartacei, delle firme a penna. A un’Italia lenta, impolverata, dove il digitale è riservato a chi può permetterselo.
SPID: troppo utile per essere privatizzato

L’alternativa proposta è la CIE (Carta d’Identità Elettronica). Sì, è gratuita, sì è sicura. Ma richiede un lettore fisico, o uno smartphone compatibile. L’attivazione è macchinosa, i numeri parlano chiaro: solo 7,3 milioni di italiani la usano attivamente. SPID è molto più diffuso, intuitivo, immediato. Perché sostituirlo, quando funziona?
La risposta vera è che lo Stato sta abbandonando il campo. E quando il pubblico arretra, il privato avanza. Non è una novità. Ma nel caso dell’identità digitale, il prezzo non si misura solo in euro: si misura in disuguaglianza, sfiducia e arretramento culturale.
L’identità digitale è un diritto, non un optional
Se lo Stato crede davvero nella transizione digitale, deve mettere mano al portafoglio. Pagare i provider, rinnovare le convenzioni, potenziare SPID e affiancarlo – non sostituirlo – con la CIE e con l’It-Wallet europeo. L’identità digitale del cittadino non può essere messa in saldo. Deve restare gratuita, universale e accessibile.
Altrimenti, il rischio è che a luglio 2025 non cambi solo il prezzo dello SPID. Ma che cambi, in peggio, l’intero rapporto tra cittadino e istituzioni digitali.
Ma la partita è ancora aperta
Il tempo per evitare questa deriva c’è ancora. Il governo può – e deve – agire. Lo SPID non è solo un “login”: è il simbolo di una PA che dialoga con i cittadini, che semplifica, che accoglie. Far pagare l’accesso a questo mondo significa tornare indietro.
Nel pieno dell’era dell’intelligenza artificiale, dove l’inclusione digitale dovrebbe essere la priorità, rendere a pagamento l’identità digitale nazionale è come costruire un’autostrada e poi chiudere l’ingresso ai pedoni.
La tecnologia deve servire le persone, non dividerle. E lo Stato deve essere garante di questo principio. A partire dallo SPID.