Sotto il sole dell’innovazione: l’Italia corre verso la legge sull’IA mentre il mondo produttivo è già in fermento

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Focus sul DDL italiano sul’IA in Senato e le proiezioni del mercato IA italiano

Mentre in Europa si consolidano le regole dell’AI Act, anche l’Italia – con sorprendente tempismo – muove pedine decisive nella scacchiera dell’intelligenza artificiale. Il disegno di legge approvato dalla Camera il 25 giugno 2025 rappresenta un primo, solido tentativo di dare forma a una strategia nazionale, in grado di regolare, incentivare e al tempo stesso proteggere l’ecosistema tecnologico del Paese.

Una legge quadro tra ambizioni e limiti

La cosiddetta “Legge sull’intelligenza artificiale” (DDL n. 1110) è una delega al Governo: significa che non stabilisce regole dirette e immediate, ma autorizza l’esecutivo a scrivere decreti legislativi su sette aree cruciali, dalla sanità alla giustizia, dal lavoro al diritto d’autore, passando per industria, ricerca e tutela dei diritti. In sostanza, un impianto normativo flessibile ma strategico, concepito per accompagnare – e non ostacolare – lo sviluppo dell’IA.

In un Paese noto per la sua cronica lentezza normativa, è già qualcosa.

Le modifiche della Camera: meno rigidità, più realismo

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Nel passaggio alla Camera, il disegno di legge ha subito modifiche sostanziali rispetto al testo iniziale licenziato dal Senato. Tra le più rilevanti, spicca l’eliminazione dell’obbligo – previsto dal Senato – di installare server nazionali per ospitare sistemi IA nella pubblica amministrazione: una scelta che avrebbe potuto rallentare la transizione digitale e gonfiare i costi per le amministrazioni locali. Viene anche ridimensionato il ruolo di Agcom, inizialmente designata come autorità centrale per la supervisione dei sistemi di AI, in favore di un approccio più armonizzato con il Digital Services Act europeo.

Infine, si segnala un intervento di fino: aggiustamenti su diritto d’autore, trasparenza degli algoritmi e responsabilità penale, che mirano a evitare sovrapposizioni con la normativa comunitaria e a limitare i rischi di impugnazioni costituzionali.

Un’industria che scalpita: il mercato italiano dell’AI

Il contesto economico italiano ha già fiutato il potenziale della nuova stagione normativa. Secondo le stime dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, il mercato italiano dell’IA ha raggiunto 760 milioni di euro nel 2024, con una crescita del 52% rispetto all’anno precedente. Un ritmo accelerato, figlio anche dell’effetto traino dell’AI generativa.

Il 73% degli investimenti arriva dalle grandi imprese, ma cresce anche la quota delle PMI, soprattutto nei settori manifatturiero, sanitario e finanziario. L’adozione resta però ancora disomogenea: solo un’impresa su cinque dichiara di avere progetti strutturati sull’intelligenza artificiale.

Il DDL prova a colmare questa distanza con l’introduzione di incentivi mirati alla formazione, alla ricerca pubblica e alle startup. Saranno i decreti attuativi a dire se questa ambizione diventerà realtà o resterà, come spesso accade in Italia, lettera morta.

Sanità, lavoro, giustizia: i fronti caldi della regolazione

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La legge delega interviene su tre fronti fondamentali. In ambito sanitario, l’obiettivo è garantire l’interoperabilità dei sistemi IA con le banche dati pubbliche e assicurare la tracciabilità delle decisioni algoritmiche in ambito clinico.

Nel mondo del lavoro, il testo prevede norme sulla trasparenza degli algoritmi utilizzati nei processi di selezione, valutazione e gestione del personale. Più chiarezza, quindi, su come l’intelligenza artificiale entra nelle decisioni che ci riguardano da vicino, specie nei rapporti tra lavoratori e datori di lavoro.

Nel settore giustizia, infine, si delinea un doppio binario: da una parte, l’impiego controllato di sistemi predittivi per migliorare l’efficienza, dall’altra, la protezione rigorosa dei diritti delle parti in causa.

L’IA italiana tra regolazione e libertà d’impresa

Il vero banco di prova sarà mantenere un equilibrio tra regolazione e libertà d’impresa. L’AI Act europeo, infatti, già impone limiti rigidi su sorveglianza biometrica e sistemi ad alto rischio. Il legislatore italiano dovrà evitare di introdurre norme più severe che scoraggerebbero l’adozione dell’IA nel tessuto produttivo nazionale.

Il DDL, fortunatamente, sembra muoversi in questa direzione: non bloccare, ma guidare. Un orientamento che l’industria guarda con favore, chiedendo però tempi certi per l’approvazione dei decreti attuativi e chiarezza su chi controllerà cosa.

Una governance tutta da costruire

Resta aperto il nodo della governance nazionale. L’attuale formulazione non indica un’autorità univoca per il controllo e la supervisione dell’IA, demandando queste funzioni a futuri decreti. Una scelta che può rivelarsi tanto prudente quanto rischiosa: senza un presidio forte, si rischia che ogni settore vada in ordine sparso.

Serve un’agenzia indipendente o una cabina di regia forte e dotata di competenze tecniche. Una regia capace di parlare sia con Bruxelles sia con il sistema produttivo, universitario e culturale del Paese.

Un passo avanti, ma la strada è lunga

Il DDL italiano sull’intelligenza artificiale è un segnale politico forte: l’Italia non vuole più essere solo spettatrice nel gioco dell’innovazione. Ma l’ambizione da sola non basta. Servono tempi rapidi, scelte coraggiose e risorse economiche.

La legge è una cornice. Ora tocca al Governo disegnare il quadro, e all’industria – se adeguatamente sostenuta – colorarlo con l’audacia dell’innovazione. Perché l’IA, sotto il sole italiano, può davvero fiorire. Ma solo se si smette di temerla e si inizia a capirla, governarla, svilupparla.