C’è una frase che circola spesso quando si parla di innovazione in Italia: “Cambiare tutto per non cambiare nulla”. E il caso dell’identità digitale ne è l’ultimo esempio. Il Governo ha annunciato l’addio graduale allo SPID, il sistema pubblico di identità digitale che da anni ci permette di accedere ai servizi della Pubblica Amministrazione. Al suo posto? La CIE, la Carta d’Identità Elettronica. A prima vista, un passaggio “logico”, ma a guardare bene è una manovra che rischia di fare più danni che progresso.
SPID: da barriera a ponte digitale
Lo SPID è diventato un alleato insospettabile nella vita quotidiana di milioni di italiani. Un clic per prenotare visite mediche, accedere al fascicolo sanitario, ottenere un bonus, scaricare un certificato o iscrivere un figlio a scuola. In pochi anni, ha rappresentato il primo vero passo verso una PA più vicina, più semplice, più umana.

Non è stato un percorso facile, soprattutto per i meno avvezzi alla tecnologia. Ma proprio per questo, è stato anche un percorso prezioso: chi ha imparato a usare lo SPID – anziani inclusi – l’ha fatto con fatica, determinazione, voglia di partecipare alla vita digitale del Paese.
Le parole del Governo
La svolta, però, è ormai ufficiale. Il 6 luglio 2025, nel corso di un’audizione presso la Commissione parlamentare per la semplificazione, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alessio Butti, ha confermato l’intenzione del Governo di “spegnere progressivamente lo SPID”, per puntare tutto sulla Carta d’Identità Elettronica. La motivazione ufficiale? Uniformarsi alle direttive europee e a quanto già avviene in altri Paesi. “Nel dicembre 2022 – ha ricordato Butti – il Governo ha iniziato a porre la questione della coerenza con il quadro europeo. L’identità digitale deve essere unica, e rilasciata direttamente dallo Stato”. Un principio che suona nobile, ma che nasconde un’ambizione centralizzatrice: togliere il controllo ai gestori privati e affidare tutto alla macchina pubblica.
Quindi il Governo decide di dire addio allo SPID, puntando tutto sulla CIE. E non lo fa perché lo SPID non funziona – al contrario, funziona fin troppo bene. Lo fa perché mantenere il sistema costa, e lo Stato non vuole più sostenere quelle spese. Lo avevamo già denunciato parlando del rischio di uno SPID a pagamento.
CIE, la soluzione o il problema?
Peccato che la CIE, a oggi, non sia una reale alternativa per tutti. Per usarla servono smartphone compatibili, app dedicate, lettori NFC. Tutto molto bello, se sei nativo digitale. Ma se hai 70 anni e vivi in un piccolo comune, magari senza sportello digitale o senza assistenza informatica, la storia cambia.

Mi chiedo: è davvero questo il modo corretto di gestire l’identità digitale? Invece di semplificare, stiamo complicando. Invece di affiancare, stiamo sostituendo. Invece di costruire, stiamo smantellando. Lo SPID ha raggiunto oltre 33 milioni di utenti attivi, eppure chiudiamo la porta in faccia a milioni di persone che avevano appena imparato a bussare. Una scelta miope, che confonde la tecnologia con l’efficienza e dimentica che la digitalizzazione non è questione di software, ma di accessibilità.
Identità digitale: un diritto, non un privilegio
Personalmente, credo che l’identità digitale non debba diventare un lusso. È un diritto civico, come votare, come curarsi, come partecipare. Lo SPID ha permesso questo: ha abbattuto muri, reso trasparente la burocrazia, ridato voce ai cittadini. Oggi lo si tratta come un ingombro, un doppione, un costo da tagliare. Ma a ben vedere, il vero costo lo pagheranno proprio loro, i cittadini, costretti a ricominciare da capo, a risolvere problemi nuovi dopo aver imparato soluzioni vecchie.
Serve un’altra strada
Non sono contrario alla CIE. Anzi, ben venga che si investa nella sua diffusione e funzionalità. Ma non è accettabile che questo avvenga sacrificando lo SPID. Le due soluzioni possono convivere, completarsi, offrire scelta. In un Paese che vuole essere digitale davvero, l’identità del cittadino va rispettata, tutelata, potenziata. Non eliminata con un colpo di decreto.
E allora mi chiedo, ancora: davvero vogliamo rottamare un sistema che funziona, che la gente ha imparato a usare, che ha reso la PA finalmente a portata di mano? Oppure possiamo scegliere, per una volta, di ascoltare i cittadini prima di decidere per loro.