Se l’intelligenza artificiale fa metà del lavoro, perché continuiamo a lavorare cinque giorni su sette?
La domanda non arriva da un visionario della Silicon Valley, ma da Bernie Sanders, senatore americano noto per le sue battaglie sociali. E questa volta il suo bersaglio è il modello di lavoro tradizionale, sempre più inadeguato in un’economia che viaggia a velocità algoritmica.
La provocazione (seria) di Sanders
«Se l’IA aumenta la produttività, allora possiamo ridurre l’orario a 4 giorni a settimana, senza tagli allo stipendio».
Una frase forte, che sta alimentando un dibattito sempre più attuale: come redistribuire i benefici dell’automazione?
La proposta di Sanders non è isolata. Arriva mentre i grandi colossi tech stanno già sperimentando – o subendo – gli effetti di questa rivoluzione. Un esempio su tutti: Salesforce.
Salesforce: metà del lavoro è già gestito dall’IA
Marc Benioff, CEO del gigante del cloud, lo ha dichiarato senza giri di parole: «L’intelligenza artificiale sta già facendo tra il 30% e il 50% del nostro lavoro».
Tradotto: chatbot, tool predittivi, generatori di codice e automazione dei flussi stanno ridefinendo processi e ruoli. E i risultati si vedono: accuratezza del 93%, meno errori, più efficienza.
Ma a che prezzo? Nei primi mesi del 2025, Salesforce ha licenziato oltre 1.000 dipendenti. «Una ristrutturazione dovuta all’integrazione dell’IA», ha spiegato Benioff.
Automazione sì, ma per chi?
Non è un caso isolato. Amazon, Klarna, CrowdStrike: tutte hanno accelerato sull’IA e, parallelamente, ridotto organici.
È la faccia meno raccontata della “rivoluzione intelligente”:
- l’IA libera tempo, ma crea disoccupazione tecnica
- aumenta la produttività, ma non sempre migliora le condizioni di lavoro
- riduce i costi, ma spesso solo per le imprese
Secondo Sanders, il vero nodo è il tempo. Il modello attuale – 8 ore al giorno, 5 giorni a settimana – è un lascito della rivoluzione industriale. Ma oggi, tra lavoro da remoto, automazione e obiettivi flessibili, ha ancora senso?
Non una provocazione, ma una proposta strutturale
La settimana corta non è un’utopia, ma una risposta concreta a una trasformazione già in atto.
Negli Stati Uniti, studi di MIT e Stanford dimostrano che l’IA generativa può aumentare la produttività tra il 14% e il 34%. Ma quel valore aggiunto oggi resta in azienda.
«La tecnologia non deve servire solo ad aumentare i margini», afferma Sanders, «ma a migliorare la qualità della vita».
Il senso è chiaro: se le macchine ci liberano dal lavoro ripetitivo, allora usiamo quel tempo guadagnato per vivere meglio. Famiglia, salute, formazione: il tempo è una nuova moneta. E va redistribuita.
Italia, ancora ferma ai principi
Mentre negli USA si discute di riduzione del lavoro a parità di salario, in Italia il dibattito resta concentrato sulla cornice etica. Il decreto legge sull’IA parla di tutela dei diritti e cybersicurezza, ma non affronta ancora l’impatto reale sul lavoro.
Nel frattempo, il mondo cambia. E chi resta fermo rischia di essere travolto.
Una sfida che è già cominciata
La proposta di Bernie Sanders segna un punto di svolta: la produttività non può essere l’unico parametro. Serve una nuova equazione tra tecnologia, tempo e benessere.
E in quella formula, l’intelligenza artificiale è solo uno degli elementi. La variabile decisiva resta sempre la stessa: l’uomo.