L’Intelligenza Artificiale è ormai parte integrante del nostro presente, ma la società italiana sembra vivere questo cambiamento con sentimenti contrastanti. Lo racconta l’indagine Eurispes contenuta nel Rapporto Italia 2025, che fotografa il modo in cui gli italiani si rapportano a una tecnologia tanto potente quanto dirompente.
Un cambiamento che fa discutere
L’IA entra in settori ad alto valore simbolico – come l’arte, l’istruzione, la cura, la scrittura – suscitando reazioni che spaziano dall’entusiasmo alla paura, fino al disorientamento. Più che una questione di tecnica, è una sfida culturale. L’idea che un algoritmo possa generare contenuti, prendere decisioni o simulare emozioni umane costringe tutti – cittadini, istituzioni, imprese ed educatori – a interrogarsi non solo sull’uso, ma anche sul senso di questa delega al digitale.
Pochi utenti abituali, molti ancora ai margini
Secondo i dati raccolti, l’Intelligenza Artificiale non è ancora largamente utilizzata in Italia. Oltre la metà degli intervistati (58%) dichiara di non averla mai usata, mentre il 41,8% l’ha provata almeno una volta. Solo il 15,1% ne fa uso frequente.
La fascia d’età gioca un ruolo chiave: i giovani tra i 18 e i 24 anni sono nettamente più attivi – il 44,3% la usa spesso – mentre tra gli over 64 la percentuale crolla drasticamente. Anche la condizione lavorativa incide: l’uso è molto diffuso tra gli studenti (oltre il 52%) e tra chi cerca lavoro per la prima volta (74,5% l’ha usata almeno una volta). Più moderato, ma comunque rilevante, l’uso tra i lavoratori (46,8%) e tra chi è in cerca di un nuovo impiego (50,7%).
Curiosità e gioco spingono alla sperimentazione
La motivazione principale che spinge gli italiani a provare l’IA è la curiosità: il 62,7% l’ha testata per vedere “come funziona”. Seguono l’uso per divertimento (55,7%) e quello legato al lavoro (48,4%) o allo studio (39,2%).
Ma se la sperimentazione è diffusa, la fiducia è ancora limitata. Solo il 20,5% degli italiani vede l’IA come un’opportunità e appena il 7,2% crede che possa risolvere molti problemi. Una parte significativa (32,6%) resta invece critica o preoccupata, mentre il 20,6% dichiara di non avere ancora un’idea chiara.
Generazioni a confronto
I giovani sono decisamente più fiduciosi: il 44,8% degli under 25 considera l’IA un’opportunità, e il 16,4% addirittura una possibile soluzione a vari problemi. All’opposto, tra gli over 64 solo il 10,2% ha una visione positiva, mentre cresce l’area dell’incertezza (34,6%) e della preoccupazione.
Le fasce intermedie (25-64 anni) mostrano un atteggiamento più cauto: meno entusiasmo, più richiesta di regole e maggiore attenzione agli effetti collaterali.
Il limite dell’umano: l’IA nella creatività e nell’educazione
L’indagine tocca anche un punto molto delicato: quanto siamo disposti ad accettare l’uso dell’IA in attività tradizionalmente considerate “umane”? La risposta è: poco. Nessun ambito supera il 40% di consenso.
- Scrittura di sceneggiature: 38%
- Composizione musicale: 29,9%
- Scrittura di romanzi: 28,5%
- Tesi scolastiche o universitarie: 24,7%
- Produzione di opere d’arte visiva: 21,8%
- Creazione di video finti con volti reali (deepfake): 24%
In particolare, le applicazioni che toccano identità, creatività e autenticità sembrano generare i maggiori timori. E forse è proprio da qui che si può cogliere il cuore della questione: l’IA non è solo uno strumento, ma un elemento che ridefinisce il nostro modo di essere umani.