I numeri più recenti sull’impatto dell’intelligenza artificiale generativa sul traffico online dei siti d’informazione sembrano non lasciare dubbi: l’introduzione delle nuove funzioni AI di Google – in particolare AI Overviews e AI Mode – sta cambiando radicalmente il modo in cui le persone accedono alle notizie, riducendo significativamente il numero di clic verso le fonti originali.
Secondo un’inchiesta pubblicata dal Wall Street Journal, molte testate – anche tra le più autorevoli al mondo – stanno già subendo un taglio drastico nella visibilità derivante dai motori di ricerca. L’effetto è semplice ma potente: se Google fornisce già una risposta generata dall’IA direttamente nella pagina dei risultati, l’utente non ha più bisogno di visitare il sito da cui provengono le informazioni.
Come cambia il comportamento dell’utente
Il cambiamento non riguarda solo l’algoritmo, ma anche e soprattutto l’utente.
Nel mondo digitale contemporaneo, dominato da una frenesia sempre più diffusa e da una soglia d’attenzione sempre più ridotta, l’immediatezza viene premiata. L’utente medio oggi tende a privilegiare risposte brevi, sintetiche, “chiuse”, piuttosto che contenuti articolati e approfonditi.
L’AI generativa, in questo senso, è perfettamente allineata ai nuovi bisogni: risposte istantanee, spesso ben confezionate, sufficienti a risolvere il dubbio immediato senza richiedere un ulteriore approfondimento.
Un dato emblematico: secondo Similarweb, la quota di traffico proveniente da ricerca organica per il New York Times è scesa dal 44% nel 2022 al 36,5% nel 2025. E se accade al New York Times, cosa può succedere alle testate locali o alle piccole realtà editoriali?
L’effetto AI sulle testate giornalistiche
La questione solleva interrogativi strategici per il settore dell’informazione. Se il modello economico dei media digitali si basa, almeno in parte, sulla visibilità ottenuta attraverso Google, cosa succede quando quella visibilità viene “intercettata” a monte da un’intelligenza artificiale che restituisce all’utente un’informazione già processata?
Il rischio non è solo economico, ma anche culturale: si affievolisce il legame diretto tra fonte e lettore, si riduce la tracciabilità e la verificabilità della notizia, e si espone il contenuto a distorsioni e sintesi non sempre affidabili.
Come stanno reagendo gli editori?
In uno scenario che evolve rapidamente, gli editori stanno cercando di trovare contromisure. Alcune testate hanno scelto di entrare nel gioco, stipulando accordi commerciali con le aziende tech per valorizzare economicamente i propri contenuti.
Ecco alcuni esempi:
- Il New York Times ha stretto una partnership con Amazon: l’obiettivo è fornire contenuti editoriali da usare per addestrare i modelli IA, monetizzando l’uso delle proprie fonti.
- The Atlantic ha avviato una collaborazione simile con OpenAI, che punta a un uso autorizzato e controllato del proprio archivio.
- Perplexity AI, uno dei motori di risposta più innovativi, ha annunciato un modello di revenue sharing: i ricavi pubblicitari generati dalle risposte IA verranno condivisi con le testate le cui notizie vengono citate.
Una nuova relazione tra AI e informazione
Il tema è complesso e ancora lontano da una soluzione univoca. Da un lato c’è la necessità di proteggere l’ecosistema informativo, che rischia di perdere visibilità e sostenibilità. Dall’altro, c’è una rivoluzione tecnologica inarrestabile, che spinge verso nuove forme di fruizione del sapere.
Per sopravvivere, le testate dovranno probabilmente riconfigurare il proprio ruolo, puntando su contenuti a valore aggiunto, su una relazione più diretta con il lettore (newsletter, abbonamenti, community) e su una negoziazione trasparente con le piattaforme di AI.
Ma soprattutto, sarà necessario che anche le istituzioni intervengano per garantire che il futuro dell’informazione digitale non venga deciso solo dagli algoritmi.