L’intelligenza artificiale è ormai entrata con decisione nel mondo del lavoro, rivoluzionando processi e professioni. Ma la scuola italiana, ancora una volta, arranca. L’indagine condotta da GoStudent rivela un dato impietoso: il 66% dei docenti non ha alcuna formazione specifica sull’IA, percentuale che sale al 76% negli istituti pubblici. È il segno di un divario culturale prima ancora che tecnologico.

In un Paese che discute quotidianamente di innovazione, la mancanza di competenze digitali tra gli insegnanti rischia di trasformarsi nel vero tallone d’Achille del sistema educativo. Anche in regioni simbolo della modernizzazione, solo un docente su quattro dichiara di sentirsi sicuro nell’uso di strumenti di intelligenza artificiale.
Indice
- Il freno delle famiglie e lo scetticismo culturale
- Italia a due velocità: Nord digitale, Sud in affanno
- Una sfida culturale prima che tecnologica
- Generazione AI: un esempio dal basso
- Uno sguardo al futuro
Il freno delle famiglie e lo scetticismo culturale
Se gli insegnanti arrancano, le famiglie non fanno molto per spingere avanti il cambiamento. Solo il 22% dei genitori italiani si dichiara favorevole all’introduzione dell’intelligenza artificiale nella scuola, mentre la maggioranza resta intrappolata tra diffidenza e paure. La preoccupazione principale è che la tecnologia possa sostituire la relazione educativa, annullando quel legame umano tra docente e studente che resta il cuore della formazione. In altre parole, l’IA viene percepita come un freddo algoritmo capace di trasformare la didattica in un processo impersonale, standardizzato e privo di empatia.
Ma questa resistenza non è solo emotiva: riflette una più ampia cultura del sospetto verso l’innovazione, radicata in un Paese che spesso fatica a distinguere tra strumenti e finalità. Non si tratta solo di timore per il futuro dei figli, ma di una visione che tende a difendere lo status quo, come se l’arrivo dell’IA fosse una minaccia più che un’opportunità di crescita.

Il problema è che questa diffidenza finisce per ricadere sugli studenti stessi. Pur essendo nativi digitali, abituati a vivere immersi nelle tecnologie, molti ragazzi non sviluppano una vera consapevolezza critica. Usano strumenti digitali senza conoscerne a fondo le potenzialità e, soprattutto, senza saper distinguere tra fonti attendibili e contenuti ingannevoli. Non basta nascere nell’era di TikTok e ChatGPT per saper usare bene l’innovazione: serve una guida, un contesto educativo che insegni a trasformare la curiosità in competenza.
In assenza di un supporto condiviso tra scuola e famiglia, il rischio è quello di crescere una generazione che utilizza l’IA in modo superficiale, senza comprenderne l’impatto etico, sociale e professionale. Il freno delle famiglie, unito allo scetticismo di parte del corpo docente, rischia di trasformarsi in un ostacolo culturale più solido di qualunque ritardo tecnologico.
Italia a due velocità: Nord digitale, Sud in affanno
Quando si osserva la geografia dell’innovazione scolastica, il divario appare netto, quasi imbarazzante. La Lombardia guida la classifica con il 48% degli studenti che hanno accesso a strumenti digitali adeguati: un dato che, pur restando sotto la soglia della metà, rappresenta comunque il migliore in Italia. È un risultato che dimostra come gli investimenti mirati e la presenza di un tessuto economico più avanzato possano incidere in maniera significativa sulla qualità dell’offerta formativa.
Al Sud, invece, lo scenario è ben diverso. In regioni come Campania e Lazio, appena un quinto degli studenti può contare su tecnologie moderne e funzionali all’apprendimento digitale. Questo significa che quattro ragazzi su cinque continuano a studiare con strumenti obsoleti, o peggio, senza alcun supporto digitale. È una frattura che rischia di amplificare disuguaglianze già profonde, consegnando a migliaia di giovani un futuro segnato da minori opportunità di inserimento nel mondo del lavoro.
Il divario non riguarda solo le infrastrutture tecnologiche, ma anche la preparazione del corpo docente. In Campania, soltanto il 6% degli insegnanti possiede competenze specifiche sull’intelligenza artificiale; nel Lazio la percentuale sale al 18%, ma resta comunque lontanissima dagli standard europei. Si tratta di numeri che fotografano un Paese che corre a velocità diverse, dove il codice postale determina il livello di accesso all’innovazione.
Ancora più sorprendente, e in un certo senso preoccupante, è il caso dell’Emilia-Romagna. Regione tradizionalmente considerata un motore dell’innovazione, oggi registra un crollo inatteso: solo il 7% degli studenti ha accesso a strumenti digitali adeguati e la formazione dei docenti sull’IA è quasi inesistente. Un dato che rompe gli stereotipi e suggerisce che il problema non sia solo geografico, ma anche legato a scelte politiche, organizzative e culturali.
Questa Italia a due, se non tre, velocità rischia di produrre una generazione spaccata in due: da una parte studenti con gli strumenti per competere a livello globale, dall’altra ragazzi costretti a inseguire, senza le competenze necessarie per affrontare le sfide del futuro. Un divario che non è solo tecnologico, ma profondamente sociale, destinato a incidere sulla mobilità sociale e sulla coesione del Paese.
Una sfida culturale prima che tecnologica
I numeri raccontano una verità scomoda: non basta distribuire computer o installare software avanzati. La vera partita è culturale. Senza una formazione strutturata, l’IA rischia di diventare un terreno di improvvisazione, alimentando paure e disuguaglianze.
Serve una strategia nazionale che investa prima di tutto sugli insegnanti, trasformandoli in protagonisti dell’innovazione didattica. Le scuole non devono essere semplici luoghi di trasmissione del sapere, ma laboratori dove sperimentare, dialogare e crescere insieme alle nuove tecnologie. L’intelligenza artificiale non è il nemico da cui difendersi, ma un alleato che può rafforzare il ruolo educativo dei docenti, a patto che venga guidata da valori etici ed educativi solidi.
Generazione AI: un esempio dal basso
In un’Italia che discute di intelligenza artificiale spesso più sui giornali che nelle aule, l’esperienza del tour “Generazione AI” dimostra che il cambiamento può nascere anche dal basso, con progetti concreti che parlano direttamente agli studenti e ai docenti. Promosso dall’associazione TGWEBAI, insieme a Sied IT e MondoTouch, con il supporto degli esperti Microsoft, il tour ha attraversato la Calabria, trasformando le scuole in luoghi di confronto e sperimentazione.
Non si è trattato di una semplice serie di conferenze frontali, ma di un vero laboratorio itinerante: dibattiti, workshop pratici, dimostrazioni sull’uso dell’IA generativa e momenti di riflessione collettiva. I temi affrontati — intelligenza artificiale, cybersecurity, etica digitale e nuove professioni — non sono rimasti concetti astratti, ma sono stati calati nella realtà degli studenti, legati al loro futuro scolastico e professionale.
Il risultato è stato sorprendente: aule gremite, ragazzi attenti e curiosi, insegnanti coinvolti e pronti a mettersi in gioco. L’entusiasmo respirato durante le tappe ha dimostrato che le nuove generazioni non si limitano a usare la tecnologia, ma desiderano comprenderla, interrogarla, capirne i rischi e le opportunità. È un segnale forte, che racconta di una gioventù tutt’altro che passiva: i giovani non vogliono subire l’innovazione, ma aspirano a guidarla.
Uno sguardo al futuro
Il successo della prima edizione ha convinto gli organizzatori a rilanciare il tour anche per l’anno scolastico 2025/2026. L’obiettivo non è solo ampliare la rete di scuole coinvolte, ma rafforzare il legame con università e imprese, introducendo nuovi contenuti e nuove prospettive. Si punta a far crescere una comunità educativa che sappia dialogare con le aziende tecnologiche e con le istituzioni, superando il vecchio modello di scuola isolata dal mondo produttivo.
“Generazione AI” rappresenta la prova tangibile che esiste un’Italia che non teme l’innovazione, ma la affronta con spirito critico, responsabilità e apertura. Un’Italia che non si lascia paralizzare dalle statistiche sconfortanti su docenti impreparati e studenti senza strumenti, ma che sceglie di accendere una scintilla di cambiamento nelle aule scolastiche.
La sfida resta aperta: la scuola italiana dovrà decidere se accogliere l’intelligenza artificiale come alleata, investendo su formazione e competenze, o se rimanere ai margini, spettatrice passiva di una rivoluzione che, comunque, avverrà. Il futuro non aspetta: o lo si costruisce con coraggio, o lo si subirà.