Nel tempo delle voci sintetiche e dei volti generati da algoritmi, Papa Leone lancia un appello forte e inequivocabile: custodire l’umano nella comunicazione, perché la tecnologia, da sola, non può sostituire né la coscienza, né l’empatia, né il giudizio morale. È questo il cuore del messaggio scelto per la 60ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che si celebrerà nel 2026, ma che sin da oggi pone una riflessione urgente su uno dei temi più delicati del nostro tempo: il rapporto tra AI e comunicazione pubblica.
Il Pontefice — come già aveva fatto in altri interventi — non condanna la tecnologia, ma ne osserva lucidamente le derive e i rischi reali. Se da un lato l’intelligenza artificiale offre opportunità prima impensabili in termini di velocità, accessibilità e produttività, dall’altro minaccia alcuni dei valori più profondi del vivere sociale: la verità, la responsabilità, la fiducia.
Non basta generare contenuti: serve discernimento umano
Il Dicastero vaticano per la Comunicazione è chiaro: “La comunicazione pubblica richiede giudizio umano, non solo schemi di dati”. Una frase che dovrebbe campeggiare nelle redazioni giornalistiche, negli uffici stampa, nei centri di elaborazione contenuti dove oggi, sempre più spesso, si delegano all’AI compiti che vanno ben oltre la scrittura automatica o la generazione di immagini.
Perché l’AI può imitare la forma, ma non sa cogliere la sostanza di ciò che è umano: la compassione, il dubbio, l’intuizione, il contesto culturale. Non basta che un testo “sembri vero”: occorre che sia vero, e che sia stato scritto, analizzato, corretto da chi può assumersi la responsabilità di ciò che comunica.
Deepfake e disinformazione: le nuove forme del falso
Il rischio non è solo teorico. Lo sappiamo bene: l’AI può simulare voci e volti umani, creare deepfake indistinguibili dal reale, generare contenuti accattivanti ma manipolatori. Può replicare e amplificare i bias presenti nei dati, creare bolle informative perfette per la propaganda, e farlo con una velocità che l’essere umano non può controllare.
In questo senso, l’allarme del Papa non è solo morale, ma anche politico e sociale. “Un’eccessiva dipendenza dall’IA — si legge nel testo vaticano — indebolisce il pensiero critico e le capacità creative, mentre il controllo monopolistico di questi sistemi solleva preoccupazioni circa la centralizzazione del potere e le disuguaglianze”.
Non è fantascienza: è l’attualità. Dalla concentrazione di potere in mano a pochi colossi tech, alla diffusione virale di contenuti ingannevoli sui social, l’ecosistema informativo è già sotto stress. E se non mettiamo argini ora, rischiamo che sia l’algoritmo a decidere cosa è vero e cosa no.
Custodire il volto, la voce, l’identità
Il Papa parla di “voci e volti umani” da custodire. Due immagini potenti, che rimandano alla relazione autentica, all’incontro personale, alla comunicazione come atto di prossimità e non solo trasmissione di dati.
In un’epoca in cui le identità sono spesso frammentate e manipolate, difendere la voce e il volto significa anche difendere la dignità di ogni persona. Significa garantire il diritto a non essere imitati senza consenso, a non vedere le proprie immagini usate per scopi commerciali o malevoli, a non subire narrazioni costruite su contenuti generati da macchine.
Significa, in definitiva, riportare l’etica al centro dell’innovazione.
Nuova era per la comunicazione
Il messaggio del Papa è anche un invito alla responsabilità. Alle istituzioni, perché regolino in modo serio e trasparente lo sviluppo e l’uso dell’AI. Ai professionisti della comunicazione, perché non cedano alla tentazione della scorciatoia tecnologica. E a ciascuno di noi, cittadini digitali, perché eserciti spirito critico, verifichi le fonti, non si lasci sedurre da ciò che è solo “ben confezionato”.
Non è un richiamo nostalgico al passato. È piuttosto un progetto per il futuro, in cui le macchine non siano il fine, ma strumenti al servizio dell’uomo. Dove la tecnologia potenzi le capacità umane, ma non le sostituisca. Dove la verità non sia una costruzione artificiale, ma il frutto di un incontro autentico tra coscienze.
La comunicazione del domani — ci ricorda questo editoriale “papale” — non potrà prescindere dalla domanda più antica di tutte: chi sta parlando? E a chi? Se a rispondere è solo un algoritmo, qualcosa dell’umano si perde per sempre.