Baby influencer, cosa cambia davvero con la nuova legge?

Il Parlamento italiano torna a parlare di baby influencer. Una proposta di legge bipartisan ha riaperto il dibattito su minori e social network: limiti più rigidi per l’età di accesso, stop alla pubblicità con under 15 e tutele economiche per i giovanissimi creatori di contenuti. Un cambio di rotta che potrebbe riscrivere le regole del gioco per famiglie, piattaforme e creator.

Stop alla pubblicità con minori: cosa prevede il ddl

Il nuovo disegno di legge punta a regolamentare in modo più severo l’uso dei social da parte dei minori. Il primo punto riguarda l’età minima per aprire un profilo: si punta ad alzare la soglia a 15 anni. Attualmente, la normativa prevede il limite di 13 anni, con possibilità di iscrizione a 14 con il consenso dei genitori. L’obiettivo è quello di ridurre la presenza online dei giovanissimi, spesso esposti a dinamiche che non sono in grado di gestire pienamente.

Un altro nodo centrale è il divieto di sponsorizzazioni commerciali per i contenuti creati da minori di 15 anni. Questo significa che i bambini non potranno più essere utilizzati per promuovere prodotti, nemmeno in maniera indiretta. Si tratta di una misura pensata per contrastare l’utilizzo dell’immagine infantile come leva di marketing.

Dal punto di vista economico, la proposta introduce un meccanismo di tutela simile a quello del mondo dello spettacolo: i ricavi generati da contenuti online dovranno essere accantonati in fondi destinati esclusivamente al minore, che potrà beneficiarne al raggiungimento della maggiore età. Questo per evitare che i proventi finiscano nelle mani di adulti, senza garanzie di trasparenza.

Inoltre, si discute l’adozione di limiti più severi anche per i profili gestiti da under 18 che producono contenuti sponsorizzati, con l’introduzione di responsabilità legali dirette per gli adulti – genitori o manager – che ne curano la gestione.

Perché ora?

Negli ultimi anni il fenomeno dei baby influencer ha assunto proporzioni notevoli. Bambini protagonisti di canali YouTube, TikTok e Instagram raggiungono milioni di utenti, con una frequenza di pubblicazione e una qualità dei contenuti sempre più professionale. Dietro questi account ci sono spesso famiglie che gestiscono in modo strutturato l’immagine del minore, tra contratti pubblicitari e collaborazioni con brand.

La monetizzazione dell’infanzia digitale è diventata un vero e proprio mercato, che in alcuni casi frutta decine di migliaia di euro al mese. Ma questo ha sollevato interrogativi profondi: quali sono i limiti tra intrattenimento e sfruttamento? Chi controlla il benessere psicologico dei piccoli protagonisti? E cosa succede alla loro privacy, una volta che la loro vita quotidiana diventa contenuto pubblico?

La politica, dopo anni di dibattiti e tentativi a vuoto, ha deciso di intervenire con una proposta condivisa tra maggioranza e opposizione. Una spinta arrivata anche dal contesto europeo, dove normative come il Digital Services Act stanno rendendo più stringenti le regole per le piattaforme digitali, soprattutto in tema di tutela dei minori.

Cosa cambia per famiglie, ragazzi e piattaforme

Per le famiglie, l’eventuale approvazione della legge significherebbe un’inversione di tendenza: meno pressione sociale per aprire un profilo a 9 o 10 anni, più attenzione alla protezione dell’identità e dell’immagine del figlio. Non sarà più possibile utilizzare contenuti familiari per ottenere sponsorizzazioni, e chi vorrà farlo dovrà sottostare a regole chiare e verificabili.

Per i ragazzi, questo potrebbe tradursi in un ambiente digitale meno competitivo e stressante. In un’epoca in cui “esistere” coincide spesso con “essere online”, l’innalzamento della soglia d’età può aiutare a vivere con più serenità gli anni dell’infanzia e della preadolescenza, senza la pressione dei numeri, dei like, dei commenti.

Per le piattaforme, la sfida sarà implementare controlli più efficaci sull’età degli utenti e sulle segnalazioni di contenuti potenzialmente inappropriati. Un impegno che non può più essere rimandato, vista l’attenzione crescente da parte di governi e opinione pubblica.

Siamo già a legge?

No. Il disegno di legge è nella fase iniziale dell’iter parlamentare. La presentazione bipartisan segna un cambio di passo, ma serviranno ancora mesi di discussione, emendamenti e votazioni prima di vedere un testo definitivo approvato. Tuttavia, l’attenzione mediatica e politica sembra indicare che il tema è diventato prioritario.