L’affluenza in calo anche in Toscana racconta un Paese stanco di una politica che comunica senza capire. I social non bastano più: l’illusione di essere “digitali” copre un ritardo culturale enorme, mentre l’intelligenza artificiale ridisegna realtà, linguaggi e fiducia.
Il segnale che arriva dalle urne
L’affluenza in calo alle elezioni regionali, anche nella Toscana simbolo della partecipazione, conferma una crisi che va oltre i partiti.
Non è disinteresse: è disillusione. Non è solo sfiducia verso la classe dirigente, ma rigetto verso un modo di comunicare che ha perso autenticità. Mentre gli elettori si allontanano, la politica riempie i feed di messaggi, video e slogan, confondendo la quantità di contenuti con la qualità della relazione. La distanza non nasce dal silenzio dei cittadini, ma dal rumore di chi dovrebbe ascoltarli.
La puerilizzazione del discorso politico
La politica italiana ha confuso la comunicazione digitale con la cultura digitale.
Crede di essere moderna perché parla sui social, ma spesso si limita a imitare i codici dell’intrattenimento. Si misura in like, follower e visualizzazioni, riducendo il confronto a un format adolescenziale. È una politica che gioca con l’attenzione, ma non costruisce significato. Nel flusso continuo di frasi brevi e indignazioni programmate, l’elettore non si riconosce più. E l’astensione diventa, paradossalmente, il gesto più consapevole: la risposta adulta a una politica infantilizzata.
La falsa prossimità dei social
I social network hanno offerto ai politici una scorciatoia: la possibilità di mostrarsi vicini a tutti, senza mai confrontarsi davvero con nessuno.
È una vicinanza apparente, mediata da algoritmi che selezionano cosa vedere e cosa ignorare.
Il politico parla a un pubblico che già lo approva, il cittadino riceve messaggi calibrati sui propri pregiudizi. Non c’è dialogo, solo eco. La politica si è trasformata in una vetrina di gesti performativi, dove la comunicazione sostituisce la convinzione e il consenso è una metrica, non un sentimento.
Essere sui social non significa essere nel futuro
C’è un errore profondo nel modo in cui la politica interpreta la modernità: credere che condividere online significhi essere contemporanei.
Ma il mondo digitale è già oltre. L’intelligenza artificiale sta trasformando l’informazione, la percezione e la stessa nozione di realtà. Le parole, le immagini e perfino le emozioni possono essere generate da sistemi automatici. E mentre l’IA ridisegna il linguaggio e la fiducia, i partiti italiani continuano a usare i social come bacheche elettorali. Essere “social” non vuol dire essere al passo coi tempi: vuol dire, spesso, parlare un linguaggio già vecchio. Nel momento in cui servirebbero visione, etica e competenza, la politica si rifugia nella superficie e perde l’occasione di governare il cambiamento.
Un vuoto normativo che diventa democratico
La legge italiana sull’intelligenza artificiale e l’AI Act europeo fissano principi di trasparenza e responsabilità, ma nessuno li applica alla sfera politica. Le campagne si spostano nei feed, i contenuti vengono generati o modulati da software, e nessuno dichiara chi scrive davvero cosa. Mancano norme, vigilanza e cultura. Così la fiducia si dissolve: non per mancanza di idee, ma per mancanza di verità condivisa. La politica chiede credibilità, ma comunica come un algoritmo.
Astensione come sintomo e difesa
L’astensione non è soltanto il termometro del disincanto, è un gesto di autodifesa contro un linguaggio che non rappresenta più nessuno. Chi non vota non sempre si disinteressa: spesso rifiuta di essere parte di una rappresentazione artificiale. La politica parla di partecipazione, ma non ascolta più. E l’iperconnessione, che avrebbe dovuto creare prossimità, genera invece distanza. Ci vediamo continuamente, ma non ci capiamo più.
Ritrovare la realtà
Ricostruire fiducia significa restituire alla politica la sua sostanza: presenza, ascolto, responsabilità. La democrazia digitale non nascerà da nuove piattaforme, ma da una cultura pubblica capace di comprendere come la tecnologia modella la verità. La politica deve tornare a essere un luogo di educazione e di confronto, non di autopromozione. Perché finché tratterà i social come specchio di sé e non come spazio per gli altri, continuerà a parlare a vuoto.
La democrazia dei silenzi
Le urne vuote non esprimono solo rifiuto: esprimono un vuoto di senso. La “puerilizzazione social” ha trasformato la rappresentanza in spettacolo, e la discussione pubblica in rumore di fondo. Finché la politica continuerà a inseguire l’apparenza invece della sostanza, l’astensione resterà l’unico linguaggio credibile dei cittadini.
Perché chi non crede più nelle parole preferisce, almeno, non fingere di ascoltarle.