Accesso agli atti e intelligenza artificiale: il diritto di capire non è negoziabile

La digitalizzazione della pubblica amministrazione corre veloce, trascinata da algoritmi, piattaforme e sistemi intelligenti che promettono efficienza e risparmio. Ma cosa accade quando la tecnologia diventa un ostacolo ai diritti? La sentenza del Consiglio di Stato n. 4929/2025 ce lo ricorda con chiarezza: la complessità tecnica non può mai giustificare il diniego di accesso agli atti amministrativi.

Il caso è emblematico. Due cittadine chiedono copia del fascicolo aziendale intestato a un coerede che, dal 2015, percepisce contributi pubblici per la gestione di fondi agricoli di proprietà comune. L’agenzia ARGEA nega l’accesso, sostenendo che i dati sono gestiti in modo automatizzato da un sistema nazionale e che per recuperarli servirebbe l’intervento costoso di un soggetto terzo.

Il Consiglio di Stato non solo rigetta questa posizione, ma stabilisce un principio fondamentale: l’utilizzo di sistemi automatizzati non può mai costituire un alibi per comprimere il diritto di accesso. La pubblica amministrazione resta responsabile della trasparenza, anche quando le decisioni vengono prese da un algoritmo.

Il primato della trasparenza

Il Collegio mette nero su bianco un concetto tanto semplice quanto rivoluzionario nel contesto digitale: la PA deve garantire l’accessibilità e la comprensibilità delle decisioni, indipendentemente dagli strumenti tecnologici utilizzati. Nessuna “scatola nera” può giustificare l’opacità. Nessun algoritmo può sottrarsi al controllo umano e alla spiegabilità.

E se l’estrazione dei dati ha un costo? Il Consiglio non esclude che esso possa eventualmente essere posto a carico del richiedente. Ma la responsabilità di attivarsi – e dunque di rendere effettivo il diritto – resta in capo all’amministrazione.

La sfida dell’intelligenza artificiale nella PA

Questo caso giuridico apre una riflessione più ampia. Oggi, ogni clic sul portale di un ente pubblico – che si tratti di una prenotazione sanitaria o della richiesta di un bonus – genera dati. L’intelligenza artificiale li usa per rendere i servizi più efficienti. Tuttavia, l’efficienza non può sacrificare i diritti.

Nel passaggio dalla carta al digitale, il cittadino rischia di diventare osservato, ma non osservatore. I dati vengono raccolti, incrociati, elaborati in modo invisibile. Le logiche decisionali diventano opache. Eppure, proprio in questo contesto, il diritto alla comprensibilità diventa il nuovo fondamento della cittadinanza digitale.

Privacy e trasparenza: alleati o nemici?

La protezione dei dati personali è tutelata dal GDPR come diritto fondamentale. Ma la trasparenza è altrettanto centrale nei rapporti tra cittadini e amministrazioni. Come conciliare queste due esigenze?

Serve un equilibrio. Serve una PA che spieghi in modo chiaro come usa i dati, quali algoritmi impiega, con quali finalità. Serve cioè una cultura dell’explicability, per cui ogni decisione automatizzata che incide sui diritti deve essere spiegabile – e comprensibile anche per chi non è un tecnico.

Educare alla sovranità digitale

La scuola può avere un ruolo decisivo. Non solo insegnando a usare gli strumenti digitali, ma formando cittadini capaci di comprenderli, interrogarli, metterli in discussione. Parlare di privacy non deve essere un esercizio burocratico, ma un’occasione per sviluppare senso critico. Gli studenti possono analizzare in modo critico le policy di privacy delle piattaforme scolastiche, simulare richieste di accesso ai propri dati, partecipare a laboratori per comprendere le tracce digitali che lasciano online e confrontarsi, attraverso dibattiti, con casi reali di sorveglianza e automazione nei servizi pubblici. La consapevolezza digitale si costruisce anche così, partendo dall’esperienza quotidiana.

Il futuro è digitale, ma deve restare umano

La sentenza n. 4929/2025 ci lascia un messaggio potente: la digitalizzazione non può prescindere dal presidio umano. Anche nell’era dell’intelligenza artificiale, la legalità e la fiducia si costruiscono garantendo diritti fondamentali come il diritto di accesso.

Chi amministra dati e algoritmi non può nascondersi dietro la tecnica. Deve rendere conto. Deve spiegare. Deve rispettare.

Perché il vero progresso non è avere una PA che decide da sola, ma una PA che decide con trasparenza, responsabilità e rispetto per i cittadini.