L’AI irrompe nella politica per dire che non deve governare: il primo spot elettorale generato interamente da un algoritmo

Un video disturbante e provocatorio

Un video disturbante, provocatorio, ma anche lucidissimo. Sei volti generati interamente dall’intelligenza artificiale parlano agli spettatori con tono fermo e sguardo fisso. Non sono umani, e lo dichiarano senza esitazione. Pronunciano frasi che nessun candidato direbbe mai, e che proprio per questo colpiscono nel profondo: “La libertà di espressione non significa nulla per me.” “I diritti dei lavoratori sono irrilevanti per me.” “Non ho polmoni. Perché dovrei preoccuparmi del cambiamento climatico?” “Non protesto. Non voto. Non esisto.”

Un messaggio provocatorio per mettere in discussione l’AI

È il cuore del primo spot politico al mondo realizzato interamente con l’intelligenza artificiale, non per glorificare la tecnologia ma per metterla in discussione. L’iniziativa è firmata dal Partito Democratico Europeo e dal suo Segretario Generale Sandro Gozi, eurodeputato e volto di punta del gruppo Renew Europe.

La tecnologia che evidenzia i suoi limiti

Nel tempo dei deepfake, della manipolazione algoritmica e delle campagne elettorali iper-personalizzate, il Pde ribalta la narrazione e affida alla tecnologia un ruolo paradossale: mostrare i suoi stessi limiti. Lo spot non cerca di simulare un candidato, ma mette in scena ciò che la tecnologia, per quanto avanzata, non può avere: coscienza, empatia, partecipazione. E lo fa per ricordare che la politica – quella vera – è ancora un affare umano.

La dichiarazione del Segretario Gozi

“Siamo entusiasti delle opportunità che l’IA offre,” afferma Sandro Gozi, “ma proprio per questo dobbiamo guidarne lo sviluppo con consapevolezza. L’AI non è buona o cattiva: è lo specchio dell’uso che ne facciamo. E noi abbiamo scelto di usarla per stimolare pensiero critico, consapevolezza democratica e senso di responsabilità collettiva.”

Una presa di posizione culturale

La sfida lanciata dal Pde non è solo comunicativa, ma culturale e politica. Il partito rivendica di essere il primo al mondo ad aver impiegato l’intelligenza artificiale non per imitare l’essere umano, ma per ribadire che certi gesti – come votare, difendere i diritti, immaginare il futuro – restano prerogativa dell’essere umano. Lo spot è una dichiarazione di principio in un momento storico in cui la tentazione di delegare anche le scelte fondamentali agli algoritmi è concreta, e talvolta inconsapevole.

Un monito in un contesto di transizione tecnologica

In un contesto segnato da una transizione tecnologica profonda, dove piattaforme e sistemi automatici plasmano ogni giorno il dibattito pubblico, il video del Pde agisce come una scossa. Non è una provocazione sterile, né una trovata da campagna elettorale.

È una presa di posizione. Un messaggio che non celebra la potenza dell’AI, ma afferma con forza i limiti che è necessario porle. Un gesto che pone una domanda cruciale al centro del dibattito democratico europeo: chi decide il nostro futuro? Noi o una macchina?

Ecco il punto: se anche l’intelligenza artificiale può simulare il linguaggio della politica, non può sostituirne il senso. La democrazia è fatta di voce, corpo, memoria. Non si addestra, si esercita. Non si delega, si costruisce insieme. In un’epoca che ci chiama a scegliere tra velocità e profondità, tra automazione e consapevolezza, spot come quello del Pde non sono un’eccezione comunicativa, ma un possibile inizio. L’inizio di una politica che non rincorre la tecnologia, ma la guarda negli occhi – e le dice dove deve fermarsi. Anche perché è più che mai necessario che gli attori politici si confrontino a viso aperte con i cambiamenti della società che spesso non riescono più a interpretare, come dimostrato dall’aumento vertiginoso dell’astensionismo, del quale abbiamo avuto una recentissima dimostrazione in occasione dell’ultima consultazione referendaria in Italia.