L’AI non ucciderà il giornalismo. Ma il silenzio sì.

Non sarà l’intelligenza artificiale a distruggere il giornalismo. A farlo, semmai, sarà la nostra incapacità di governare il cambiamento. L’esperimento fallito di Claude Explains, il blog lanciato da Anthropic e chiuso dopo pochi giorni, è la prova lampante delle tensioni che attraversano il mondo dell’informazione.

Claude Explains era nato con un obiettivo ambizioso: dimostrare come un modello linguistico avanzato — Claude, sviluppato da Anthropic — potesse scrivere articoli tecnici, scientifici e culturali in modo fluido e credibile. Il blog pubblicava contenuti ottimizzati per i motori di ricerca, capaci di attrarre link e traffico. Eppure, nonostante il successo digitale, è stato chiuso dopo poche settimane. Il motivo? La totale mancanza di chiarezza sul ruolo umano. I lettori si sono sentiti ingannati, messi di fronte a un contenuto privo di anima e di firma vera.

Questa reazione conferma un dato ormai consolidato: basta il sospetto che un articolo sia stato “automatizzato” per far vacillare la percezione di credibilità. La fiducia – già fragile dopo anni di clickbait e post virali – si incrina ulteriormente. E il sospetto diventa una crepa difficile da riparare. Si vedrà nei prossimi giorni se la chiusura decretata nello scorso mese di giugno sarà definitiva o se il blo verrà soltanto sottoposto a revisione.

Non un nemico, ma un alleato

Il giornalismo non si regge solo sulla trasmissione dei fatti, ma sulla relazione invisibile che lega chi scrive a chi legge. L’AI può essere una risorsa preziosa: aiuta a scansionare dati, suggerisce spunti, accelera le fasi di revisione. Ma non può sostituire la capacità di interpretare un gesto, un silenzio, un retroscena. Non può scegliere cosa è importante raccontare e cosa no.

Il vero pericolo è già davanti a noi: ripetere l’errore fatto con i social, dove la rincorsa al traffico ha sacrificato la qualità e la profondità. Se l’AI viene usata solo per ridurre costi e produrre testi in serie, non farà altro che svuotare il mestiere. Il problema non è la macchina, ma la logica con cui la usiamo.

La pericolosa tentazione di nascondere

In molte redazioni, l’uso dell’AI è ancora un tabù. Si fa, ma non si dice. Si nasconde per timore di sembrare meno “autentici” agli occhi del pubblico. Ma non dichiarare l’uso di questi strumenti non è protezione: è un tradimento.

La trasparenza non è una nota a piè di pagina: è un patto. I lettori vogliono sapere se un testo è stato generato, se è stato solo rifinito o se è interamente frutto di un lavoro umano. Ammetterlo non significa svalutare il giornalismo, ma dimostrare di averne ancora rispetto.

Oggi il pubblico sa che l’AI è già parte del processo creativo. Sa riconoscere uno stile piatto, una frase automatica, un argomento trattato senza profondità. Fingere di non usarla significa alimentare sfiducia e distanza.

Il pericolo del plagio algoritmico

L’AI impara leggendo tutto quello che trova online. Assimila, mescola, riformula. Il rischio è di ottenere contenuti apparentemente nuovi, ma che non appartengono davvero a nessuno. Si chiama “plagio algoritmico”: testi che non hanno un autore, che non hanno una voce, che non rispondono a nessuno.

È una minaccia che va oltre la violazione di copyright: mina il concetto stesso di responsabilità. Un articolo non è solo un insieme di frasi corrette. È una presa di posizione, un filtro critico, un impegno a rispondere di ciò che si pubblica. Se ci limitiamo a generare testi, il giornalismo perde la sua funzione, trasformandosi in puro rumore.

Una scelta da fare adesso

Il futuro del giornalismo non è una pagina già scritta. Possiamo scegliere di usare l’AI per alleggerire il lavoro ripetitivo, per recuperare tempo prezioso da dedicare alle inchieste, alle verifiche, all’interpretazione. Possiamo usarla per ampliare lo sguardo, non per sostituirlo.

Oppure possiamo accettare una lenta deriva, continuando a usarla di nascosto, alimentando il sospetto e distruggendo dall’interno il patto di fiducia con chi ci legge.

Il giornalismo non appartiene a chi lo scrive, ma a chi lo legge. Se smette di essere utile, muore. Ma non per colpa di un algoritmo: per colpa nostra.

Uno sguardo oltre: la possibilità di rinascere

L’intelligenza artificiale non è una minaccia inevitabile. Può diventare un’occasione per ripensare il giornalismo come servizio e non solo come prodotto. Un’occasione per tornare a mettere al centro il lettore, la chiarezza, la trasparenza.

Immaginare un futuro in cui AI e giornalisti lavorano insieme non significa arrendersi alla macchina, ma riconoscere che la tecnologia può potenziare la curiosità, stimolare nuove inchieste, far emergere storie che altrimenti non vedremmo.

Non abbiamo bisogno di un giornalismo che si finga puro o intoccabile. Abbiamo bisogno di un giornalismo che sia vivo, aperto, onesto. Che non abbia paura di raccontare anche come nasce un testo.